Arrestato il latitante Pietro Labate detto ”ti mangiu”,
nel corso di mirati servizi di osservazione e pedinamento effettuati con motocicli in dotazione all’ufficio, sorprendeva il boss latitante LABATE Pietro a bordo di unoscooter al margine del quartiere Gebbione, evidentemente mentre si recava o stava rientrando da un incontro con affiliati alla cosca di ‘ndrangheta che porta il suo nome. Al momento del fermo, il LABATE tentava di darsi alla fuga, ma gli agenti della Squadra Mobile non gli lasciavano alcuna via di scampo e lo immobilizzavano e ammanettavano immediatamente.
LABATE Pietro, recentemente inserito nell’elenco dei latitanti pericolosi stilato dal Ministero dell’Interno, è il capo carismatico dell’omonima cosca di ‘ndrangheta intesa anche, con espressione locale, “i ti mangiu”, egemone nei quartieri che si sviluppano nella zona sud della città di Reggio Calabria, denominati “Gebbione e Sbarre” ed era latitante dal mese di aprile 2011, quando era riuscito a sottrarsi all’esecuzione dell’ordinanza N.5454/08 RGNR DDA, n.4871/09 RGIP DDA e N. 29/2011 CC DDA, emessa in data 13 aprile 2011 dal GIP presso il Tribunale di Reggio Calabria, nel corso dell’operazione di polizia passata alle cronache con il nome “Archi”, nell’ambito della quale erano stati tratti in arresto dalla Squadra Mobile capi e gregari delle cosche TEGANO e LABATE.
Durante la seconda guerra di mafia esplosa in città dal 1985 ai primi anni ’90 e che aveva fatto registrare quasi 1000 morti fra gli schieramenti in lotta, ovvero le famiglie DE STEFANO, TEGANO e LIBRI da un lato e CONDELLO, IMERTI e FONTANA dall’altro, quella dei LABATE era rimasta neutrale e le zone in cui essi esercitavano la loro influenza criminale venivano da tutti i belligeranti considerate “zona franca”.
Ciò era dovuto alla riconosciuta autorità del capo cosca e alla coesione della consorteria.
Siffatta neutralità aveva consentito alla cosca LABATE di gestire al meglio i propri affari illeciti penetrando nel tessuto economico e sociale della anzidetta area della città di Reggio Calabria all’interno della quale riusciva ad imporre, ponendo in essere molteplici atti intimidatori, la propria egemonia finalizzata alla realizzazione degli interessi imprenditoriali rientranti nelle finalità del sodalizio mafioso.
L’esistenza della cosca LABATE è documentata, già a decorrere dagli inizi degli anni 1990, da una serie di atti giudiziari, fra i quali merita di essere menzionata la storica sentenza del Processo Olimpia.
Operazioni di polizia effettuate in tempi più recenti da questa Squadra Mobile come ad esempio l’operazioneGebbione e Archi, hanno avuto il merito di portare alla luce le capacità di gestione e controllo della cosca LABATE di attività economiche preesistenti, nonché di attività nuove attraverso l’utilizzo di proventi illeciti derivanti da estorsioni e dall’imposizione di forniture di beni e servizi da parte di imprese controllate da propri affiliati, nonché infine il potere di influenzare le scelte finanziarie di aziende di rilevanza nazionale come le Officine O.M.E.C.A. di Reggio Calabria, anche attraverso l’assunzione di personale gradito alla cosca.
Oltre a tali forme di penetrazione e controllo dei circuiti dell’economia locale, per come rilevato, in particolare, dalla richiamata operazione Gebbione, la cosca LABATE, poneva in essere, mediante l’apporto dei propri affiliati, una moltitudine di atti intimidatori soprattutto in danno di imprenditori, consistenti in danneggiamenti, incendi ed esplosioni di colpi d’arma da fuoco, al doppio fine di assoggettare il ceto imprenditoriale locale al pagamento dell’estorsione e riaffermare il dominio sul territorio.
L’operazione di polizia denominata Gebbione (Ordinanza di Custodia Cautelare in Carcere nr. 4358/04 R.G.N.R.-D.D.A., R.G.N.R.-D.D.A. 1089/05 R.G. G.I.P. D.D.A. nr. 35/07 REG. C.C. emessa in data 11.07.2007 dal G.I.P. presso il Tribunale di Reggio Calabria, su richiesta della locale Direzione Distrettuale Antimafia), aveva portato alla sbarra, come detto, capi e gregari dell’anzidetta consorteria criminale, accusati a vario titolo di associazione mafiosa, estorsione ed altri reati-fine, tra i quali figuravano anche i più stretti congiunti di LABATE Pietro classe 1951.
Con la più recente operazione di polizia denominata Archi, dell’aprile 2011, questa Squadra Mobile, anche a seguito delle dichiarazioni rese dal collaboratore di Giustizia Roberto MOIO, denunciava alcuni elementi di spicco della cosca LABATE, già colpiti con l’Operazione Gebbione, ovvero LABATE Pietro classe 1951, boss latitante fino alla serata di ieri e suo fratello Francesco Salvatore classe 1966, attualmente detenuto, nonché alcuni affiliati all’indicato clan di ‘ndrangheta tra cui CACCAMO Giovanni nato a Reggio Calabria il 14.09.1975,inteso “Giò Giò”, già colpito dal Provv. N. 4358/2004 “Operazione Gebbione” e CANDIDO Silvio Giuseppe nato a Reggio Calabria (RC) l’11.10.1950, in atto recluso presso il carcere di Reggio Calabria, ritenuto l’uomo di fiducia dei LABATE all’interno della ditta NEW LABOR di Reggio Calabria.
Al fine di inquadrare il ruolo del latitante Pietro LABATE all’interno della ‘ndrangheta, si ritiene opportuno riportare (per estratto) i capi di imputazione a lui ascritti nell’ambito della citata operazione Archi.
LABATE Pietro, LABATE Francesco Salvatore, CANDIDO Silvio Giuseppe e CACCAMO Giovanni
- a. del delitto p. e p. dagli artt. 112, comma 1, n. 1, 416bis, comma 1, 2, 3, 4, 5, 6 ed 8, c.p. perché, rivestendo i ruoli di seguito meglio specificati, fanno stabilmente parte della struttura organizzativa dell’associazione di tipo mafioso ed armata – per avere la immediata disponibilità, per il conseguimento delle finalità dell’associazione, di armi e materie esplodenti anche occultate, tenute in luogo di deposito o legalmente detenute – denominata “’ndrangheta”, presente ed operante sul territorio della provincia di Reggio Calabria, sul territorio nazionale ed all’estero, costituita da molte decine di locali, articolata in tre mandamenti e con organo di vertice denominato “Provincia” ed in particolare della sua articolazione territoriale denominata “cosca LABATE” prevalentemente operante nel locale di Gebbione di Reggio Calabria,
della cui forza di intimidazione, derivante dal vincolo associativo, e della rilevante condizione di assoggettamento e di omertà che deriva dall’esistenza ed operatività della organizzazione criminale prima indicata si avvalgono per:
– commettere una serie indeterminata di delitti, tra i quali numerosi posti in essere contro la persona, il patrimonio e la Pubblica Amministrazione;
– acquisire direttamente o per interposta persona fisica o giuridica la gestione o, comunque, il controllo di attività economiche (finanziate in tutto o in parte con il prezzo, il prodotto o il profitto di delitti), di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici;
– realizzare profitti o vantaggi ingiusti per i sodali, per i concorrenti esterni, per i contigui o per altri, attraverso la partecipazione diretta alle attività economiche di interesse e la riscossione di ingenti somme di denaro a titolo di tangente;
– impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o procurare voti agli associati, ai concorrenti esterni, ai contigui o ad altri in occasione di consultazioni elettorali;
– gestire, attraverso il capillare controllo del territorio di competenza, un enorme bacino di voti da offrire ad esponenti politici compiacenti a seconda degli accordi stipulati o dei favori accordati, o da accordare, all’associazione nel suo complesso o a suoi singoli compartecipi;
all’interno della predetta articolazione territoriale si individuano i seguenti ruoli qualificati:
LABATE Pietro e LABATE Francesco Salvatore
che rispondono dell’ipotesi delittuosa di cui all’art. 416bis, comma 2, c.p., quale capo il primo, dirigente ed organizzatore il secondo dell’articolazione territoriale dell’associazione di tipo mafioso ed armata indicata in premessa;
CANDIDO Silvio Giuseppe e CACCAMO Giovanni
rivestono il ruolo di indispensabili pedine incaricate di eseguire gli ordini impartiti e, quindi, di materiali esecutori delle azioni delittuose poste in essere in esecuzione del condiviso programma criminoso;
in tal contesto svolgono il ruolo di intermediari circa le specifiche disposizioni impartite dai germani LABATE ai destinatari e le modalità di ogni singola attività illecita accertata, precipuamente riferibile al controllo e alla riscossione di ingenti somme di danaro, per un totale non inferiore a 20.000,00 €, versate, a titolo di tangente, da DIMO Antonio e SORIANI Marco.
In Reggio Calabria, provincia, altre località del territorio nazionale ed all’estero, fino al 22 marzo 2011, in permanenza;
relativamente alle posizioni di LABATE Pietro, LABATE Francesco Salvatore e CACCAMO Giovanni dal 15 gennaio 2009 alla data prima indicata;
- b. del delitto p. e p. dagli artt. 81, comma 2, 110, 629, comma 2, in relazione all’art. 628, comma 3, nn. 1 e 3, 61, n. 7, c.p. e 7 L. 12 luglio 1991, n. 203 perché, in concorso tra loro nelle qualità di cui al capo che precede e con persone in corso di identificazione, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, poste in essere anche in tempi diversi ed in violazione della medesima disposizione di legge,mediante le condotte minacciose e violente di cui al capo b) della rubrica, promananti dalla spendita della loro appartenenza all’associazione di tipo mafioso ed armata presente ed operante in prevalenza sul territorio nazionale denominata “’ndrangheta” ed in particolare della sua articolazione territoriale denominata “cosca LABATE” prevalentemente operante nel locale di Gebbione di Reggio Calabria, da ritenere idonee ad incutere timore ed a coartare la volontà del soggetto passivo in relazione a concrete circostanze oggettive, quali la caratura criminale e la personalità sopraffattrice degli esecutori, le circostanze ambientali in cui i predetti operano, l’ingiustizia della pretesa, le particolari condizioni soggettive delle vittime – operatori imprenditoriali provenienti da fuori regione – caratterizzate dalla immanente preoccupazione di evitare ben più gravi pregiudizi,costringendo DIMO Antonio e SORIANI Marco, quali titolari della ditta denominata “Soc. Coop. New Labor” – società associata al “consorzio Kalos” – incaricata dalla Società Trenitalia S.p.A. (in qualità di stazione appaltante) di subentrare nelle attività del “lotto 13 Calabria”, in forza di contratto d’appalto n. 12787 del 03.07.2008, riguardante la manutenzione e pulizia dei convogli ferroviari presso la Stazione Centrale e la c.d. “Platea Lavaggio” di Reggio Calabria, a versare una somma di danaro, di importo non inferiore a 20.000 euro, a titolo di tangente,
procuravano a sé o ad altri un ingiusto profitto pari alla somma pretesa con pari danno di rilevante gravità a carico del soggetto estorto;
condotta posta in essere al fine di agevolare l’attività della cosca di appartenenza, quale preminente articolazione territoriale della ramificata organizzazione criminale di tipo mafioso denominata “’ndrangheta” – ed in particolare della sua articolazione territoriale denominata “cosca LABATE” prevalentemente operante nel locale di Archi di Reggio Calabria -, oltre che avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416bis c.p., atteso il comportamento oggettivamente idoneo ad esercitare una particolare coartazione psicologica sulle persone in quanto dotato dei caratteri propri dell’intimidazione derivante dall’associazione di tipo mafioso ed armata – per avere la immediata disponibilità, per il conseguimento delle finalità dell’associazione, di armi e materie esplodenti anche occultate o tenute in luogo di deposito – presente ed operante in prevalenza sul territorio nazionale prima indicata.
In Reggio Calabria, in data successiva al 26 maggio 2010.
… (…)…
L’operazione Archi evidenziava, ancora una volta, la particolare capacità pervasiva e di infiltrazione della famiglia di ‘ndrangheta dei LABATE nel tessuto socio-economico della città di Reggio Calabria.
I LABATE, infatti, oltre a controllare e gestire le attività economiche presenti nella loro zona di influenza criminale, compivano un ulteriore “salto di qualità” attraverso la realizzazione di una sinergia criminale con la potente cosca TEGANO di Archi, con la quale riusciva ad allacciare rapporti finalizzati alla gestione di comuni affari economico – imprenditoriali.
Ciò vale ad evidenziare l’accentuato dinamismo del sodalizio criminale in esame nella gestione degli affari illeciti, sebbene esso sia stato duramente colpito dalle menzionate Operazioni di Polizia nonché da un provvedimento di Sequestro di beni mobili di ingente valore, immobili ed attività commerciali, risalente al dicembre 2007 (Decreto n. 95/07 Reg. Mis. Prev. Del 04.12.2007, emesso dal Tribunale di Reggio Calabria – Sezione Misure di Prevenzione, ex art. 2 bis legge n. 575/1975).
Circa il profilo criminale del latitante LABATE Pietro, appare opportuno segnalare che il predetto annovera numerosi e gravi pregiudizi, penali e di polizia.
Nell’aprile del 2011, la Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria, nell’ambito del P.P. 5454/08 R.G.N.R. D.D.A., emetteva nei suoi confronti un provvedimento di fermo di indiziato di delitto ex art. 384 e segg. c.p.p. per associazione mafiosa, estorsione ed altro.
In quella circostanza il LABATE si rendeva irreperibile dandosi alla latitanza che si protraeva fino alla serata di ieri.
In data 16.07.2012 il GUP presso il Tribunale di Reggio Calabria, condannava il LABATE Pietro a 20 anni di reclusione nell’ambito dell’operazione denominata “Archi Astrea”.
Nel corso delle attività investigative esperite durante la notte a seguito della cattura, veniva individuato nel quartiere Gebbione, al pianterreno di uno stabile multipiano, un appartamento munito di ogni comfort dove il LABATE trascorreva la latitanza.
Nel corso della conseguente perquisizione veniva rinvenuto e sequestrato materiale ritenuto utile per il prosieguo delle indagini.
Proseguono le attività investigative al fine di individuare la rete dei fiancheggiatori che ha favorito LABATE Pietro durante la latitanza.
Dopo le formalità di rito l’arrestato verrà associato presso la locale Casa Circondariale a disposizione dell’Autorità Giudiziaria.